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Con il tasso di riciclo rifiuti dell’83,2%, l’Italia è leader in Europa

Con il tasso di riciclo rifiuti dell’83,2%, l’Italia è leader in Europa

Ci sono più luci che ombre per l’Italia che ricicla i rifiuti. Il nostro Paese è leader in Europa per tasso di riciclo e secondo per tasso di circolarità. Esportiamo ancora troppi rifiuti, anche per mancanza di un adeguato sistema impiantistico, soprattutto nel Centro-Sud del Paese. Per cogliere le sfide poste dal PNRR e dagli obiettivi fissati a livello europeo serve puntare su strumenti (ad esempio “acquisti verdi delle PA” e incentivi fiscali su prodotti riciclati) in grado di far compiere il definitivo salto di qualità all’industria nazionale del riciclo.

Sono queste le principali evidenze emerse nel corso della presentazione dello studio annuale “L’Italia che Ricicla”, il Rapporto presentato a Roma da ASSOAMBIENTE - l’Associazione che rappresenta le imprese che operano nel settore dell’igiene urbana, riciclo, recupero, economia circolare e smaltimento di rifiuti, nonché bonifiche.

L’Italia si colloca al primo posto a livello europeo per tasso di avvio al riciclo dei rifiuti (sia urbani che speciali), rispetto al totale gestito. Il dato italiano, pari all’83,2% (riferito al 2020, ultimi dati disponibili), è decisamente superiore non soltanto alla media UE (39,2%), ma anche rispetto ai maggiori Paesi dell’Unione: Spagna (60,5%), Francia (54,4%) e Germania (44%). 

Guardando al tasso di circolarità dei materiali, che misura la quota di materiale riciclato e reimmesso nell’economia nell’uso complessivo dei materiali, l’Italia, con il 21,6%, si colloca poco sotto il primato della Francia (22,2%) e comunque sopra la Germania (13,4%) e la Spagna (11,2%) e, più in generale al di sopra della media UE (12,8%). Un trend in decisa crescita, se si tiene conto che tale indicatore si attestava al 12,6% solo 9 anni fa.

Un primato che si conferma anche con riferimento al tasso di utilizzo di metalli provenienti dal riciclo, che denota il contributo offerto dai metalli riciclati al soddisfacimento della domanda complessiva: qui l’Italia costituisce addirittura il benchmark di riferimento tra i principali Stati europei con un 47,2%, con Francia (39,3%), Germania (27,3%) e Spagna (18,5%) decisamente più indietro.

Fin qui le note positive. Molto resta da fare su diversi fronti per far divenire l’industria del riciclo il fulcro di una nuova strategia di sviluppo del Paese, basata sull’economa circolare.

A partire dall’impiantisca: se la Germania con ben 10.497 impianti attivi è leader a livello europeo, l’Italia si colloca al secondo posto, con 6.456 impianti di recupero di materia, seguita dalla Spagna con 4.007 impianti. Un dato all’apparenza positivo, ma caratterizzato da un elevato numero di impianti di medio-piccola dimensione e per lo più collocati nel Centro-Nord del Paese, nello specifico nelle regioni in cui il comparto manifatturiero risulta particolarmente attivo e in cui i materiali recuperati possono facilmente essere reintegrati: nella sola Lombardia è presente il 22% dell’impiantistica nazionale dedicata al recupero di materia.

Proprio la Lombardia è la Regione che ricicla di più, con un totale di 31.018.381 tonnellate avviate al recupero, seguita da Veneto con 12.377.245 tonnellate ed Emilia-Romagna con 10.010.270 tonnellate.

Nel 2020 dall’Italia sono state esportate oltre 3,6 milioni di tonnellate di rifiuti industriali e poco più di 581mila tonnellate di rifiuti urbani, per un totale di 4,2 milioni di tonnellate di rifiuti, inviati oltre confine dove per lo più vengono avviati recuperati. Un paradosso che, nel medio-lungo termine, andrà colmato, attivando le opportune leve incentivanti e di investimento impiantistico, affinché maggiori volumi di rifiuti riciclabili vengano recuperati nel nostro Paese, contribuendo ad accrescere la capacità del sistema produttivo di ovviare alla cronica mancanza di materie prime, così come a creare sbocchi occupazionali verso la transizione ecologica. Le carenze impiantistiche che affliggono il nostro Paese non riguardano solo il riciclo, ma anche la gestione degli scarti non riciclabili.

Oltre alla carenza di impianti, il Rapporto segnala come, accanto ai nodi strutturali che da tempo bloccano la crescita economica del Paese, come la lunghezza delle procedure autorizzative, la complessità del panorama normativo-regolatorio e la farraginosità del sistema dei controlli, si aggiunge in questi mesi la grave minaccia derivante dall’incremento dei costi energetici che le aziende del riciclo si trovano a fronteggiare.

Il riciclo dei rifiuti, oltre alla valenza centrale che riveste per la transizione ecologica”,ha commentato Paolo Barberi – vice Presidente di Assoambiente, “risulta oggi ancor più strategico per accrescere la resilienza economica del nostro Paese, tradizionalmente povero di materie prime, particolarmente in questa fase di emergenza economica-energetica maturata nel post pandemia. Il salto di qualità per il settore, anche per il buon esito della parte di PNRR relativa alla gestione rifiuti, potrà arrivare solo con la piena implementazione delle riforme. In tal senso, è fondamentale che venga adottata compiutamente e celermente la strumentazione economica prevista dalla Strategia Nazionale per l’Economia Circolare, a partire dall’introduzione dei Certificati del Riciclo, oltre a strumenti efficaci come gli incentivi fiscali (ad esempio con IVA agevolata) per rendere competitivi i materiali riciclati rispetto alle materie prime vergini. Altro intervento di fondamentale importanza è l'adozione in tempi brevi delle norme tecniche che dovrebbero regolamentare il settore favorendo la creazione di un mercato stabile e trasparente, siano esse relative all'End of Waste, ai sottoprodotti, o ai Criteri Ambientali Minimi per le gare pubbliche. Infine, va rafforzata e resa effettiva la domanda pubblica di prodotti riciclati”.


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