Un altro passo indietro dell’Italia nella classifica dei Paesi per la lotta alla crisi climatica
Ancora un altro passo indietro dell’Italia che scende al 30°posto della graduatoria per il rallentamento dello sviluppo delle rinnovabili e per una inadeguata politica climatica nazionale.
Ancora un altro passo indietro dell’Italia nella classifica dei Paesi per la lotta alla crisi climatica: la Penisola scivola di tre posizioni arrivando quest’anno al 30°posto in graduatoria. Risultato raggiunto per il rallentamento dello sviluppo delle rinnovabili (34° posto della classifica specifica) e per una politica climatica nazionale ancora inadeguata a fronteggiare l’emergenza climatica. Infatti, l’attuale Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) consente un taglio delle emissioni entro il 2030 di appena il 37% rispetto al 1990.
È quanto emerge in sintesi dal rapporto annuale di Germanwatch, CAN e NewClimate Institute sulla performance climatica dei principali paesi del pianeta, realizzato in collaborazione con Legambiente per l’Italia. Nel rapporto si prende in considerazione la performance climatica di 60 paesi, più l’Unione Europea nel suo complesso, che insieme rappresentano il 92% delle emissioni globali. La performance è misurata, attraverso il Climate Change Performance Index (CCPI), prendendo come parametro di riferimento gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e gli impegni assunti al 2030. Il CCPI si basa per il 40% sul trend delle emissioni, per il 20% sullo sviluppo sia delle rinnovabili che dell’efficienza energetica e per il restante 20% sulla politica climatica.
Anche quest’anno le prime tre posizioni della classifica non sono state attribuite, in quanto nessuno dei paesi ha raggiunto la performance necessaria per fronteggiare l’emergenza climatica e contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1.5°C. In testa alla classifica troviamo i Paesi scandinavi che guidano la corsa verso zero emissioni. Danimarca, Svezia e Norvegia si posizionano dal quarto al sesto posto, grazie soprattutto al loro grande impegno per lo sviluppo delle rinnovabili. In fondo alla classifica troviamo, invece, Paesi esportatori e utilizzatori di combustibili fossili come Arabia Saudita, Canada, Australia e Russia.
“Il peggioramento in classifica dell’Italia – dichiara Mauro Albrizio, responsabile ufficio europeo di Legambiente – ci conferma l’urgenza di una drastica inversione di rotta. Si deve aggiornare al più presto il PNIEC per garantire una riduzione delle nostre emissioni climalteranti, in linea con l’obiettivo di 1.5°C, di almeno il 65% entro il 2030. Andando quindi ben oltre l’obiettivo del 51% previsto dal PNRR e confermando il phase-out del carbone entro il 2025 senza ricorrere a nuove centrali a gas. L’Italia ha a disposizione ben 70 miliardi, allocati dal PNRR per la transizione ecologica, da investire per superare la crisi pandemica e fronteggiare l’emergenza climatica, attraverso una ripresa verde fondata su un’azione climatica ambiziosa, in grado di colmare i ritardi del PNIEC ed accelerare la decarbonizzazione dell’economia italiana in coerenza con l’obiettivo di 1.5°C dell’Accordo di Parigi. Solo così l’Italia potrà essere protagonista in Europa nell’impegno comune per fronteggiare l’emergenza climatica. Una sfida che possiamo e dobbiamo vincere”.
Tornando alla classifica del rapporto annuale di Germanwatch, la Cina, che è il maggiore responsabile delle emissioni globali, scivola di quattro posizioni al 37° posto. Nonostante il grande sviluppo delle rinnovabili, le sue emissioni continuano a crescere per il forte ricorso al carbone e la scarsa efficienza energetica del suo sistema produttivo. Ancora più indietro si piazzano gli Stati Uniti, secondo emettitore globale, che troviamo al 55° posto. Un passo in avanti di sei pozioni rispetto allo scorso anno, grazie alla nuova politica climatica ed energetica avviata dall’Amministrazione Biden e che però deve iniziare ancora a dare i suoi primi risultati. Tra gli altri Paesi del G20, solo Regno Unito, India, Germania e Francia si posizionano nella parte alta della classifica. L’Unione Europea scivola di sei posizioni al 22° posto, soprattutto per la pessima performance di Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovenia, che si posizionano in fondo alla classifica.