Acqua: crescono investimenti, migliora la situazione della depurazione
Passi avanti verso la gestione industriale ma il Paese resta ancora diviso tra il Nord e il Sud.
Crescono gli investimenti e diminuiscono le aree sotto infrazione europea per la depurazione; la gestione diventa sempre più ‘industriale’ anche se il Sud rimane indietro rispetto al resto del Paese; contemporaneamente si registrano passi avanti verso una gestione unica degli ambiti territoriali, mentre la tariffa è ancora tra le più basse d’Europa. Questa la fotografia dell’acqua in Italia scattata dai nuovi dati del Blue Book, la monografia sull’industria del servizio idrico integrato realizzata dalla Fondazione Utilitatis - centro ricerche di Utilitalia (la Federazione delle imprese di acqua energia e ambiente) - in un’anteprima presentata nella giornata conclusiva del Festival dell’Acqua a Bressanone.
L’aggiornamento dei dati del Blue Book – che analizza il settore attraverso approfondimenti che spaziano dallo stato della governance agli aspetti tecnico-economici fino alle performance e agli investimenti – offre un punto di riferimento per capire quale sia lo stato dell’arte del servizio idrico nel nostro Paese; e lo fa in un momento particolarmente importante e delicato, mentre il Parlamento sta esaminando una proposta di riforma del settore.
Investimenti
Da una prima stima (su un bacino di oltre 32 milioni di abitanti), la media annuale degli investimenti lordi effettivamente realizzati ammonta a 37 euro a persona, avvicinandosi al valore di 40 euro pro-capite nel caso dei gestori verticalmente integrati. Guardando al quadriennio 2016-2019, tra dati di consuntivo e di previsione, la media annuale ponderata degli investimenti lordi arriva a 45 euro ad abitante; è perciò evidente un significativo impulso legato alla programmazione 2018-2019, collegato all’introduzione della regolazione della qualità tecnica introdotta da Arera, con un significativo balzo in avanti rispetto a dieci anni fa, quando ci si attestava a circa 30 euro lordi. Si tratta di un importante risultato che riguarda però solo i gestori industriali, i quali operano grazie ad affidamenti conformi alla normativa di settore; viceversa, le analisi effettuate sugli investimenti realizzati dai Comuni ancora gestiti ‘in economia’, rilevano una sostanziale inerzia nella manutenzione e nello sviluppo delle infrastrutture idriche: la media degli investimenti è infatti di appena 4 euro ad abitante nel biennio 2016-2017.
Verso una maggiore trasparenza e qualità del servizio
Sono sei i campi di miglioramento delle performance tecniche individuati da Arera entro i quali si articola la programmazione degli investimenti: perdite idriche, interruzioni di servizio, qualità dell’acqua, adeguatezza del sistema fognario, quantità dei fanghi residui della depurazione inviati in discarica e, infine, qualità dell’acqua depurata. Pur con intensità diversa, questi ambiti impattano sulla vita dei cittadini, venendo percepiti come indicatori della qualità del servizio.
L’azione dell’Autorità va quindi nella direzione di un più efficace orientamento degli investimenti per il superamento delle criticità, a favore di una maggiore trasparenza per gli utenti e di una reale misurabilità del dato. Gli effetti di questa nuova disciplina evidenziano come sull’intero quadriennio (2016-2019) gli investimenti siano destinati per il 20% alla riduzione delle perdite idriche e per oltre il 34% all’adeguamento del sistema di raccolta reflui e all’ottimizzazione degli impianti di depurazione.
Infrazioni UE
Sul fronte delle infrazioni Europee, inflitte all’Italia per il mancato o non corretto adempimento della direttiva europea 91/271/CEE sulle acque reflue, bisogna segnalare una positiva evoluzione: gli agglomerati relativi alla prima procedura di infrazione (2004/2034), per la quale la Corte di Giustizia ha già irrogato una multa, si sono ridotti da 109 a 74; mentre per la seconda infrazione giunta a sentenza (2009/2034) sono stati sanati 27 siti irregolari su 41 (restano così 14 le aree su cui è necessario ancora intervenire); appare in miglioramento anche la situazione che riguarda il parere motivato (2059/2014), che ha visto passare il numero degli agglomerati in infrazione da 879 a 620.
ATO, affidamenti e consolidamento del settore
Se la geografia degli Ambiti Territoriali Ottimali (ATO) sembra essere stabile, con 62 ATO sul territorio nazionale (erano 64 nella precedente rilevazione), emergono segnali di movimento per quanto riguarda l’assetto gestionale. Le operazioni societarie straordinarie avvenute dal 2016 ad oggi hanno interessato circa 3,2 milioni di abitanti, promuovendo un importante passo avanti nella riduzione della frammentazione del settore.
Passando al tema dell’attuazione della governance, l’attuale fotografia evidenzia 78 bacini affidati in conformità alla normativa sui 91 disegnati dalle Regioni; di questi, solo 58 hanno individuato il gestore unico d’ambito. Tuttavia all’interno di questi bacini il reale compimento della gestione unica è ancora in itinere. Nelle isole, in particolare in Sicilia, solo il 35% degli abitanti fa riferimento ad un gestore unico affidatario. Un risultato simile si registra nel Nord Est, dove il 38% vede un soggetto affidatario unico, evidenziando una persistente frammentazione degli assetti gestionali. Ottima la performance nel Centro (90%). A livello nazionale, la popolazione servita da gestore unico d’ambito raggiunge in media il 55%.
Analizzando in dettaglio le cessioni di ramo d’azienda e le fusioni, si rileva che hanno interessato oltre 2,6 milioni di Italiani che, in questo modo, hanno visto cambiare il proprio gestore di riferimento, a favore di operatori di dimensioni maggiori a controllo pubblico, già presenti nei territori vicini. Un passo avanti è stato compiuto nella transizione da gestioni dirette comunali a gestioni industriali: rispetto al 2016, 171 gestioni ‘in economia’ hanno conferito il servizio a soggetti organizzati in forma societaria totalmente pubblici o a maggioranza pubblica, per un bacino di oltre 590 mila residenti.
La transizione dalla gestione diretta comunale a quella industriale ha interessato tutto il Paese: in termini di popolazione ha riguardato per il 40% il Nord, per il 31% il Centro e per il restante 29% il Mezzogiorno. Tuttavia, oggi ancora 6,2 milioni di abitanti sono serviti direttamente dal proprio Comune. Il fenomeno riguarda oltre 1.400 Comuni, localizzati soprattutto nelle aree del Sud, dove ricadono il 66% delle gestioni in economia.
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