Conclusi gli Stati Generali della Green Economy
Edo Ronchi: “L’economia verde, la strada maestra per uscire dalla crisi”.
Si sono conclusi a Rimini, nell’ambito di Ecomondo-Key Energy-Cooperambiente, gli Stati Generali della Green Economy, l’appuntamento ‘verde’ annuale che riunisce tutto il mondo dell’economia verde per elaborare nuove proposte da indirizzare al Governo.
"Gli Stati Generali del 2014 - ha detto Edo Ronchi, Presidente del Consiglio Nazionale della Green Economy - lanciano un messaggio al Governo: la green economy è la via maestra per uscire dalla crisi. Attenzione a non subire solo le emergenze, ma occorre alzare la testa, guardare cosa fanno i paesi più avanzati. Per aprire nuove strade, è necessario rottamare le vecchie idee di sviluppo".
Le novità del 2014 sono state le 7 sessioni tematiche di approfondimento e consultazione, che hanno elaborato alcune proposte discusse nella sessione conclusiva..
Ecco una sintesi dei temi in discussione:
Agricoltura va in città, in aumento gli urban farmers
La produzione agricola, con tecniche di elevata qualità ecologica, può avvantaggiarsi della prossimità alla città con varie forme di filiera corta: dalla vendita diretta a farmers market, dalle forniture alle mense pubbliche, a quelle dirette ai negozi cittadini e alle forme di consumo organizzato come i gruppi di acquisto. In questo nuovo panorama, gli urban farmer stanno sperimentando una costante crescita: tra il 2012 e il 2013 sono aumentati del 9% passando da 4,5 a 4,9 milioni. Hanno permesso un risparmio del 10% sulla spesa agroalimentare e hanno garantito la tracciabilità dei prodotti. D’altra parte la popolazione mondiale vive sempre di più nelle città. Si stima, infatti, che per il 2025 il 50% degli abitanti del pianeta vivrà nelle aree urbane. Per fare fronte a questo nuovo assetto sociale, uno degli strumenti individuati è l’urban food planning (pianificazione del cibo a livello urbano). Molte città lo hanno adottato, a Monaco di Baviera, ad esempio, 180 agricoltori nel raggio di 100 km producono su 4.000 ettari 40 prodotti locali venduti con l’aiuto dei volontari. Anche in Italia è necessario inserire l’alimentazione tra le priorità dell’agenda politica urbana.
L’Italia scala la classifica dell’ecoinnovazione
In 2 anni l’Italia è salita di 3 posti nella classifica europea dell’ecoinnovazione realizzata dall’Osservatorio Europeo per l’Ecoinnovazione. Era 15° nel 2012, è diventata 12° nel 2014 tra i 28 paesi Ue. Per riuscire a tenere il passo è necessario che il paese avvii da subito 5 azioni prioritarie nell’ambito di una strategia nazionale per lo sviluppo e la diffusione dell’ecoinnovazione “Made in Italy”: politiche coerenti, ambientali e industriali; supporto alle imprese attraverso la creazione di un’Agenzia Nazionale per l’uso e la gestione dei materiali e delle risorse naturali; partenariati pubblico-privato tra università, enti di ricerca, imprese e amministrazioni locali; supporto ai sistemi di conoscenza; partecipazione. Una stima del valore economico delle ecoinnovazioni nella gestione delle risorse naturali, della salute e dell’educazione nell’ottica della sostenibilità è di 0,5-1,5 trilioni di dollari l’anno nel 2020.
Dal capitale naturale servizi per 145.000 mld di dollari
La green economy è una nuova forma di economia che tiene conto del capitale naturale, cioè del patrimonio di risorse fisiche e biologiche disponibili, da cui derivano i servizi, fondamentali per la vita, offerti dagli ecosistemi. Ma non è facile fare una valutazione economica del patrimonio naturale. Secondo una stima, compiuta nel 2011, il valore dei servizi offerti dal capitale naturale sarebbe tra 125.000 e 145.000 mld di dollari (il Pil mondiale del 2011 è stato di 75.000 mld di dollari). La valorizzazione e la tutela di questo patrimonio passano attraverso 4 proposte: migliorare e semplificare la normativa di tutela rendendo più incisivi gli strumenti economici; promuovere la contabilità ambientale integrandola nei conti economici e nei bilanci; coinvolgere maggiormente il settore privato anche attraverso accordi ambientali e l’uso di strumenti di mercato; contenere il consumo del suolo anche attraverso il recupero e la riqualificazione delle aree urbanizzate e del patrimonio abitativo esistente e l’adozione di misure per rafforzare il risanamento, la bonifica e il recupero di aree industrializzate.
Gestione dei rifiuti: un settore con ampi margini di crescita e ad alta intensità di occupazione
La gestione sostenibile dei rifiuti ha un enorme margine di crescita che potrebbe anche affrancare l’Italia dalle importazioni di materie prime e creare posti di lavoro (con una raccolta differenziata al 70% se ne potrebbero creare 30.000). Ma l’Italia è ancora lontana da arrivare a quella circular economy che favorisce l’ambiente e il portafoglio. Basti pensare che in Veneto, dove la raccolta differenziata è di circa il 63%, il costo di smaltimento del rifiuto differenziato è di 14,71 euro al kg, mentre in Sicilia, dove la differenziata è poco più del 15%, è di 38,08 euro al kg. Per avviare l’Italia sulla strada virtuosa nella gestione dei rifiuti, il gruppo di lavoro ha avanzato 10 proposte. Tra queste: la modifica della Tari, la misurazione dei rifiuti effettivamente riciclati, il sostegno agli acquisti verdi per arrivare al 50%, lo sviluppo del mercato delle materie prime seconde, le semplificazioni burocratiche, la promozione del riuso e del riciclo dell’invenduto alimentare.
Per l’acqua, linfa della green economy, è necessario un Piano Nazionale
Corpi idrici ancora lontani dal raggiungere un “buono stato”, eccesso di prelievi anche in falda, depurazione incompleta o inadeguata, inquinamento diffuso di origine agricola, quadro delle regole incompleto. L’acqua, linfa vitale della green economy, non gode di una buona salute in Italia. Per cambiare marcia è necessario un Piano Nazionale per la tutela e il razionale utilizzo delle acque, preceduto da una Conferenza Nazionale. Questo percorso si dovrebbe basare su principi condivisi quali la netta distinzione trale funzioni di pianificazione, programmazione e controllo e le funzioni operative, un ruolo più esplicito del Ministero dell’Ambiente, il rafforzamento del coordinamento inter-istituzionale. Si tratta di elementi necessari per investire nel settore delle acque. Oggi gli investimenti in Italia per il servizio idrico integrato sono di 30 euro ab/anno. In Francia, Germania, UK sono tra 80/120 euro ab/anno.
Certificazioni ambientali, l’Italia terza in Europa per EMAS
La responsabilità sociale e il reporting delle performance di sostenibilità fanno ormai parte della valigia ambientale delle imprese attraverso approcci, metodi e strumenti articolati e complessi. Una nuova Direttiva ha stabilito, poi, che, dal 2017, circa 6.000 grandi imprese dovranno fornire informazioni su temi non economici tra cui l’ambiente. Oggi per misurare la qualità ambientale dei prodotti si è sviluppata una serie di strumenti e l’Italia è ben posizionata: le certificazioni ISO14001 sono16.519 (+4,5 volte negli ultimi 10 anni), quelle EMAS sono 1.591 (+8 volte negli ultimi 10 anni e per questa certificazione l’Italia è terza in Europa) e ci sono 20.000 prodotti Ecolabel. Per valutare gli impatti di un prodotto “dalla culla alla tomba” c’è il Life Cycle Assessment (LCA). Questo nuovo strumento, licenziato dalla Commissione UE, è l’impronta ambientale che potrebbe far convergere il reporting d’impresa e l’etichetta ecologica di prodotto. In Italia, nel 2010, il Ministero dell’Ambiente ha avviato una sperimentazione sull’impronta ambientale di circa 200 imprese del Made in Italy in 13 comparti prediligendo tra gli indicatori ambientali la carbon footprint.
Clima ed energia: l’Italia sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi 2020
È essenziale che a Parigi nel 2015 i governi di tutto il mondo assumano impegni specifici per contrastare il cambiamento del clima. Tre sono le priorità: identificare un obiettivo globale di riduzione delle emissioni di gas serra in grado di garantire il rispetto della soglia di 2 gradi; tradurre questo obiettivo globale in target nazionali legalmente vincolanti; individuare gli strumenti adeguati per raggiungere gli obiettivi a partire da sistemi di tassazione del carbone. In questo scenario, l’Italia, che è il 4° paese in Europa per emissioni (circa 460 milioni di tonnellate di CO2 eq nel 2013), grazie all’effetto combinato della crisi economica e di alcune politiche, ha visto diminuire dal 2005 le emissioni di gas serra tanto che potrà raggiungere gli obiettivi europei del 2020. Per accelerare, però, il processo di trasformazione verso un’economia decarbonizzata, sono necessari tre interventi strategici: promuovere la crescita delle fonti rinnovabili, che oggi coprono il 13% del consumo finale lordo di energia; rafforzare le misure di efficienza energetica (attraverso la riqualificazione dell’1%/annuo degli edifici residenziali esistenti si attiverebbero investimenti per oltre 8 miliardi di euro); sviluppare una politica intergrata rispetto alla mobilità sostenibile.
Nell’indagine, elaborata dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, a cui è dedicato il terzo capitolo del Rapporto Fondazione-ENEA “Le imprese della green economy”, sono stati coinvolti 437 imprenditori di tutti i settori più rappresentativi della green economy, che hanno risposto a un questionario articolato in 56 temi relativi a 8 argomenti strategici. Dalla ricerca emerge che oltre il 90% delle imprese della green economy è convinto che la produzione in direzione green possa contribuire alla ripresa. Gli imprenditori stanno cominciando a fare squadra su idee e convinzioni condivise: la crisi economica può essere superata innovando, differenziando e puntando su produzioni e consumi in direzione green.
Nella fotografia il Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti.